dimanche 5 août 2018

Michael Clark, il genio ribelle della danza britannica

di ANNA BANDETTINI


Tra tossicodipendenza, cadute e riprese, l'irriverente coreografo scozzese è considerato un maestro e un innovatore. Dopo la prima italiana a Bolzano, in scena a Firenze 'to a simple, rock'n' roll . . . song.', trittico dedicato a Satie, Patti Smith e Bowie

Negli anni Ottanta è stato una travolgente eccezione nella danza britannica. Un genio, un talento, ma anche un ribelle, un irriverente, uno che da ragazzo era una delle migliori promesse della Royal Ballet School ma di nascosto sniffava colla. Giovanissimo ha fondato una sua compagnia, è diventato una star dell'underground londinese, ma anche tossicodipendente e depresso. Caduto e rinato decine di volte, il coreografo scozzese Michael Clark ha attraversato l'ultimo trentennio della danza da protagonista eccentrico, ma pur sempre da protagonista.


Oggi che ha 56 anni, la testa calva, gli occhiali, innata eleganza, un gusto iconoclasta non solo nella danza, ha sempre l'aria da bad boy ma è considerato un "maestro" della danza contemporanea, un innovatore per come ha saldato il rigore tecnico del classico con l'irrequietezza del punk-rock in cui si è mosso fin da giovane negli anni della ribellione antiThatcher.
Chiaro che vederlo all'opera, assistere a una delle sue creazioni è sempre un evento, specie in Italia dove un balletto di Michael Clark non si vede da molto tempo. Un plauso, dunque, a Bolzano Danza, il festival diretto da Emanuele Masi, che di anno in anno sta diventando sempre più ricco e interessante e che si è aggiudicato la prima italiana di to a simple, rock'n' roll . . . song., ultima coreografia di Clark, molto applaudita dalla stampa inglese, attesa stasera al Florence Dance Festival, dove andrà in scena nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella.
Creato nel 2016 al Barbican di Londra, to a simple, rock'n' roll . . . song. intreccia precisione tecnica e fantasia visiva e di movimento, in un trittico dedicato a tre grandi della musica del Novecento: Erik Satie per il 150esimo della nascita, Patti Smith da cui arriva anche il titolo dello spettacolo e David Bowie, un autentico cult per Michael Clark.


Se il brevissimo (dieci minuti), elegante omaggio a Satie è tutto nel solco della modern dance "rinnovata" e porta nella memoria il lavoro di altri maestri della danza e della musica che si sono ispirati al compositore francese (citazioni volute da Frederick Ashton, Merce Cunningham, John Cage, Yvonne Rainer) è negli altri due pezzi (ciascuno di venti minuti), anche grazie alla collaborazione del videoartista Charles Atlas, ai costumi pop e alieni di Stevie Stewart, che Clark si cala nel clima rock, nelle atmosfere più travolgenti, dissacratorie dove le modalità del balletto classico vengono "decostruite" in una  vitalità gestuale  psichedelica.
A partire dalla coreografia ispirata da Land: Horses/Land of a Thousand Dances/La Mer (De), dall'album di debutto Horses che rivelò Patti Smith come una delle star del punk rock newyorchese: sullo sfondo di immagini astratte in movimento, gli otto eccellenti ballerini in tute bianche e nere o con pantaloni a zampa in pelle trasformano la gestualità, la geometria, la simmetria del classico in qualcosa di travolgente. "Mi ci sono voluti anni per intrecciare il balletto classico con il rock. Il rock ha avuto su di me una enorme influenza - aveva dichiarato Clark in una intervista a Repubblica di qualche anno fa -  Quando studiavo al Royal Ballet mi sottoponevo alla dura disciplina della scuola, ma la sera fuggivo a Londra a vedere i concerti punk, atterrito che mi scoprissero".


Proprio in quelle nottate il coreografo ha conosciuto (ma mai personalmente, ed è un suo cruccio) David Bowie, che ha ispirato la terza, finale e più suggestiva parte di questo spettacolo di grande impatto: intitolato my mother, my dog and clowns dal brano Life on Mars dell'album omonimo di Bowie, è un pezzo di grande emozione, non la compilazione di un ricordo della star ma una sequenza di immagini non narrativa, che non si riduce a una formula standard ed esalta semmai il potere trasfigurante della danza.

Gli otto danzatori sono figure androgine nelle loro tutine argentate, omaggio al gusto "alieno" alla maniera di Ziggy Stardust, o arancioni come certe "mise" del Bowie anni Ottanta. Si muovono con controllo nei ritmi rock, attraversando momenti di vitalità irrequieta sulle tracce di Future Legend, Cracked actor dall'album Aladdin Sane, ma anche di oscura bellezza col jazz rock di Blackstar, l'ultimo album di Bowie quando l'atmosfera si fa più ambigua e drammatica e compare una figura di donna vestita di nero e con gli occhi bendati, forse ricordando la rockstar nell'ultimo video, segno della fine imminente per un uomo che nell'ambivalenza del proprio sguardo aveva costruito il proprio segreto.

1 commentaire:

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