dimanche 14 mai 2017

Biennale 2017: l'arte, un'esperienza viva


Torna a Venezia l'appuntamento più atteso al mondo con la Contemporanea. "Viva Arte Viva" è la 57° edizione, curata da Christine Macel, con 120 artisti provenienti da 51 nazioni

di VALENTINA TOSONI

Il racconto della vita è al centro dell’esperienza artistica. Sembra essere questa la principale direzione seguita da Christine Macel nell'ideare la 57ª Biennale d’Arte di Venezia, dal titolo «VIVA ARTE VIVA», il più importante appuntamento per il mondo dell’arte, che apre al pubblico dal 13 maggio fino al 26 novembre. La mostra conta 120 tra artisti e collettivi partecipanti, provenienti da 51 Paesi, di questi 103, sono presenti per la prima volta nell’Esposizione Internazionale. Sono poi 85 le partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, tra cui le new entry Antigua e Barbuda, Kiribati e Nigeria. Quindi, la Biennale 2017 torna a porgere sul contemporaneo uno sguardo femminile: Christine Macel, chief curator del Center Pompidou, è la quarta donna chiamata per la direzione artistica nei 122 anni di storia di questa manifestazione, dopo Maria de Coral e Rosa Martinez, che insieme curarono quella del 2005, e Bice Curiger a cui fu affidata l’edizione del 2011.

Se a questa Biennale torna la Vita, tornano anche i protagonisti in carne ed ossa, differenziandosi in questo dalle ultime edizioni che presentavano soprattutto opere intrise di riflessioni su ideologie, nuove tecnologie e derive cognitive. Così, nel Padiglione centrale ai Giardini Franz West ci dorme, come Yelena Vorobyeva e Victor Vorobyev che condividono un letto su cui riposano distesi, Frances Stark si ritrare seduto sul divano del suo atelier, mentre Katherine Nuñez e Issay Rodriguez, due deliziose artiste filippine, si esercitano con luncinetto esibendo la stessa rilassatezza e calma delle zie di una volta. Se la noia e lozio possono trasformarsi in momenti di intensa creatività, sembra dirci la curatrice, anche i libri sono da sempre fonte dispirazione, perciò sono in mostra quelli John Latham a forma di enciclopedie bruciate, oppure quelli di Abdullah al Saadi più simili a codici criptici o ancora quelli ridotti a merce da magazzino di Hassan Sharif. Dagli assolo si passa agli happening e cercando le opere concrete, sempre meno presenti, si incontrano esperienze raccontate e messe in scena: il brasiliano Ernesto Neto ospiterà indios amazzonici per riti di guarigione, Yaruba Anna Halprin, artista americana molto anziana, riproporrà davanti alla Biennale la sua Planetary Dance, ballo per la pace di cui è già presente il video nel padiglione centrale dellArsenale, mentre lartista nigeriano Jelili Atiku apparirà su un cavallo bianco nel giardino delle Vergini.
Biennale 2017: l'arte, un'esperienza viva
Il presidente Paolo Baratta e la curatrice Christine Macel

I Padiglioni delle nazioni ai Giardini sembrano interrogarsi sul presente attraverso nomi già noti e quotati, come Mark Bradford per il Padiglione degli Stati Uniti, Phyllida Barlow per la Gran Bretagna e Anne Imhof per la Germania. Una scelta ribaltata dal Padiglione Italia all’Arsenale, curato da Cecilia Alemani, già da molti giudicato il più sbalorditivo, che gioca su una triplice presenza. "Il mondo magico", titolo ispirato a quello di un libro dell'antropologo Ernesto de Martino (1908-1965), propone opere che ritraggono ‘Cristo’ in versione ‘mummia’, realizzate da Roberto Cuoghi, il percorso prosegue attraverso l'installazione altrettanto suggestiva ed emozionante "La fine del mondo" di Giorgio Andreotta Calò, fino alla video installazione di Adelita Husni-Bey. "E' bellissimo", ha detto entusiata il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini presente all'inaugurazione del Padiglione. Il Ministro ha poi sottolineato il valore della scelta di Cecilia Alemani come curatrice dopo una attenta selezione e fatto un plauso "alla scelta intelligente di restringere il numero degli artisti presenti", riferendosi a edizioni passate piuttosto caotiche.

Molte poi le novità di questa edizione all’insegna di una maggiore disponibilità alla condivisione da parte degli artisti: incontri con il pubblico all’ora di pranzo ai Giardini e all’Arsenale, iniziativa chiamata “Tavola Aperta”, che si svolgerà ogni venerdì e sabato, video-selfie in cui si presentano e persino liste dei loro libri preferiti redatte per il progetto «La mia biblioteca». Come sempre poi, intorno alla Biennale si dipana in tutta la città un‘offerta immensa di altre occasioni da non perdere e se quest'anno tutto sembrerebbe ruotare intorno all’uomo, alla vita e ai temi della magia e del sogno, vale la pena perdersi per le calli e immergersi nell’incantesimo che celebra, tra gli altri, il ritorno del ragazzo cattivo della Young British Art, Damien Hirst alla Fondazione Pinault (Punta della dogana e Palazzo Grassi) e di un colosso del nostro design come Ettore Sottsass, alle Stanze del Vetro della Fondazione Giorgio Cin.


samedi 8 avril 2017

Aleksander Ekman, coreografo-portento: "Una parodia dei cliché della danza moderna"

di ANNA BANDETTINI
La Repubblica Pubblicato il 31 marzo 2017

Svedese, orgogliso freelance, è richiesto in tutto il mondo, dalla Germania alla Nuova Zelanda finoa  Parigi. Con il suo 'Cacti' sarà in Italia, all'Opera di Roma, dal 31 marzo.
È la dimostrazione che nel mondo della danza moderna c'è ancora voglia di confrontarsi, di ribellarsi, di fare ricerca per necessità. Si chiama Aleksander Ekman, 33 anni, ed è il nuovo astro della coreografia contemporanea, per l'esattezza quasi matematica delle sue danze e insieme l'intrusione di oggetti e immagini del nostro presente: nel suo Sogno di una notte d'estate il balletto di Dresda danzava tra pile di fieno che venivano gioiosamente lanciate per aria, ha inserito una coppia gay tra i personaggi del classico Swan Lake per cui ha riempito di acqua il palcoscenico del Teatro Reale di Oslo e i ballerini muovendosi schizzavano l'acqua come in una maestosa piscina. Svedese, orgoglioso freelance, Ekman è richiesto dovunque, dalla Germania alla Nuova Zelanda: a dicembre è attesissimo il suo debutto all'Opera di Parigi dove sta allestendo Play dedicato al gioco, prima firmerà a Chicago una novità con il Joffrey Ballet, progetta una installazione con i ballerini del teatro reale norvegese per giugno. In Italia si vedrà nella capitale dal 31 marzo il suo Cacti successo mondiale del 2010 presentato dal Corpo di ballo dell'Opera di Roma in un interessante Trittico di modern dance che comprende anche The Concert di Jerome Robbins e Annonciation il cult di Angelin Preljocaj.
Aleksander Ekman, coreografo-portento: "Una parodia dei cliché della danza moderna"
Cacti è un pezzo divertente, energetico, comunicativo, “una parodia dei cliché della danza moderna e dello sguardo dei critici sulla danza stessa, su cosa secondo loro gli spettatori devono vedere o no”, dice Ekman che ha messo 16 ballerini su altrettante pedane bianche (col Corpo di Ballo di Roma, il primo ballerino Claudio Cocino e Annalisa Cianci e tra loro in scena il Quartetto Sincronie) a creare quadri e variazioni, a giocare con il corpo tra cadute, scontri, fughe, a un certo punto tenendo pure tra le mani anche un cactus, appunto. Il tutto su una struttura coreografica molto rigida e definita.
Aleksander Ekman, coreografo-portento: "Una parodia dei cliché della danza moderna"
“Quando lo creai, sette anni fa, cominciavo ad avere recensioni pubbliche dei miei lavori, a leggere tutta questa gente che dava opinioni sul mio lavoro, cose di cui essere orgoglioso, certo. Ma una certa altezzosità intellettuale qui viene giocata nella forma di in un divertimento popolare”, spiega il coreografo. “E poi il cactus è un oggetto che può essere interpretato in modo molti diversi. Mi piace, perché richiede di stare molto attenti”. Della sua leggenda di innovatore Ekman dice: “Kylián, Mats Ek mi hanno sicuramente influenzato con le loro creazioni. Mi piace catturare l'attenzione del pubblico, far dimenticare allo spettatore la vita reale, fargli vedere quello che vorrei vedere io. Da ragazzo ho visto molte cose e molte davvero noiose. Ecco io vorrei far vedere ciò che non  si è mai visto prima.Non quello che è corretto ma ciò che sorprende lo spettatore. Almeno per me è così : quando vado a teatro voglio essere svegliato”.

http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2017/03/31/news/aleksander_ekman-161879686/


vendredi 24 mars 2017

È morta la coreografa Trisha Brown, una vita per la danza contemporanea

La coreografa americana Trisha Brown è morta il 18 marzo in Texas a Sant'Antonio a 80 anni, seguendo di qualche mese quella del marito, l'artista Burt Barr che con lei aveva collaborato. "È con profonda tristezza che diamo l'annuncio della morte, al termine di una lunga malattia", ha scritto ieri la sua compagnia, ancora acclamata nel mondo, in un comunicato pubblicato su Twitter.


Da tempo si sapeva che le condizioni di salute della grande danzatrice e coreografa americana erano ormai arrivate a un punto di non ritorno. In Italia, la sua compagnia era venuta l'ultima volta nel 2014, ospite al Ravenna Festival con il 'Farewell tour', una sorta di antologica con pezzi cult del passato e nuove coreografie che ancora una volta avevano mostrato lo slancio innovativo del lavoro di Trisha Brown con quel pezzo d'apertura, Son of Gone Fishin del 1981, dove ogni sera i danzatori improvvisavano su pezzi diversi di musiche firmate da Robert Ashley. Ma questa era Trisha Brown: fantasiosa e sperimentale, la prima a portare la danza in luoghi non convenzionali, a far ballare i ballerini in jeans, scalzi, a usare la musica (ma spesso anche a non usarla) in modo libero, a intrecciare il lavoro sul  movimento con altre arti a cominciare da quelle visive basterebbe ricordare la sua lunga collaborazione con Robert Rauschenberg a giocare con l'improvvisazione... E tutto questo in oltre 100 coreografie e sei opere, dagli anni Settanta al 2011 data della sua ultima novità” come coreografa perchè come ballerina aveva già lasciato nel 2008.
Longilinea, i capelli riccioluti era stata una autentica rappresentante dell'ondata innovarice, ribelle, underground della New York tra gli anni Settanta e Ottanta, creando uno stile astratto, radicale ma nello stesso tempo comunicativo e di grande impatto: artista amata dal Balletto dell'Opera di Parigi, da Mikhail Baryshnikov e dagli artisti più sperimentali come Donald Judd o Laurie Anderson.
Trisha Brown era nata ad Aberdeen, nello stato di Washington il 25 novembre del 1936. Si era diplomata in danza nel 1958. Attratta dagli studi sull'improvvisazione si trasferisce nel '60 a New York  e studia con Merce Cunningham, entra nella fucina del  Judson Dance Theater, si incrocia con Steve Paxton e Yvonne Rainer. Nel 1970 fonda la sua compagnia, fino al 1979 formata da sole donne. E lì comincia l'avventura: allena i suoi ballerini a una astrattezza e leggerezza quasi da sogno, come a vincere la gravità, appesi a grandi funi fa scalare loro le pareti come in Walking on the Wall, o Roof Piece dove danzano in 12 tetti di palazzi tra 10 blocchi di SoHo.
Dell'83 il capolavoro Set e Reset con le musiche di Laurie Anderson e disegni di Rauschenberg, che viene considerata il manifesto della danza postmoderna. Seguita da For M.G.: The Movie (1991) con musiche di Alvin Curran, del '96 You can see us, lei di spalle in una danza a specchio con Mikhail Baryshnikov. Alla fine degli anni Novanta, dopo 30 anni di sperimentazione esordisce nel mondo dell'opera con LOrfeo di Monteverdi (1998), cui seguirono anche molte coreografie ispirate dalla musica classica. Le ultime: LAmour au théâtre (2009) e Les Yeux et l’âme (2011).

Nella storia della danza e nel cuore di chi l'ha conosciuta Trisha Brown lascia il ricordo di corpi in un movimento estremamente raffinato e semplice, vivo, pieno di salti, slanci, corpi pronti a scattare, carichi di energia e impulso ma nello stesso tempo sensuali. La sua compagnia resta il lascito più importante: non solo perché continua a tenere viva la memoria dei grandi lavori in repertorio,ma per proseguire la linea aperta da Trisha Brown con le nuove leve sottoposte allo stesso duro training fisico dei danzatori di un tempo.

mercredi 15 mars 2017

A Milano c'è Kandinskij, il maestro dell'invisibile

Dalla tradizione russa ai primi quadri astratti. Una grande mostra al Mudec propone un viaggio alla scoperta dell'arte del grandissimo russo: 130 opere, 50 dipinti e spettacolari visual-telling in 3d
di VALENTINA TOSONI

Come tutti i bambini, mi piaceva enormemente cavalcare. Per accontentarmi, il nostro cocchiere mi foggiava a guisa di cavallo bastoni sottili da cui ritagliava strisce di corteccia a spirale”. L’idea di voler essere un cavaliere e percorrere in libertà spazi inesplorati era già presente nelle fantasie infantili di Vasilij Kandinskij e a questo desiderio non rinunciò nemmeno da adulto, esplorando con audacia e galoppando senza timori alla conquista di territori mai percorsi dall’arte figurativa prima di lui. Fondamentale il periodo di formazione dell’immaginario visivo del grande artista russo, che continuò ad emergere nell’arco di tutta la sua ricerca, proprio a ciò è dedicata la mostra 


dimanche 12 mars 2017

Cygnes noirs Les enfants terribles de la danse

Vaslav Nijinsky, le scandaleux prolifique

« On m'a dit que j'étais fou. Je croyais que j'étais vivant. Ma folie, c'est l'amour de l'humanité. » (Libération).

L'audace royale : Enfant de danseurs polonais, Vaslav Nijinski est né à Kiev, en Ukraine, le 12 mars 1889. Entré à l'académie de danse impériale de Saint-Pétersbourg à l'âge de onze ans, il est repéré, pour ses incroyables sauts, par Serge de Diaghilev qui l'enrôle dans sa compagnie des Ballets Russes. Mais ce dernier se heurte au refus du théâtre Mariinski, choqué par l'attitude du danseur. D'un tempérament de feu, le jeune homme avait eu l'audace de danser Giselle devant la famille tsarine, les Romanov, en justaucorps et maillot moulant. Déjà, le jeune homme témoignait de son insoumission aux règles chorégraphiques et sociales. Et par lui arriva le « scandale ».

L'appétit de scandale : Pour sa première chorégraphie au sein des Ballets Russes de Serge de Diaghilev, Vaslav Nijinsky opère une véritable révolution. « L'Après-midi d'un faune » (1912) est un ballet en un acte consistant en une succession de petits mouvements saccadés et cassés où l'orgasme est puissament mimé. La réaction de la presse, offusquée, ne se fait pas attendre. Le Figaro écrit : « Je suis persuadé que tous les lecteurs du Figaro qui étaient hier au Châtelet m'approuvent si je proteste contre l'exhibition trop spéciale qu'on prétendait nous servir comme une production profonde, parfumée d'art précieux et d'harmonieuse poésie. (...) Nous avons eu un Faune inconvenant avec de vils mouvements de bestialité érotique et des gestes de lourde impudeur. » Le succès est pourtant au rendez-vous et la suite est éclatante : il crée la mythique chorégraphie « Le Sacre du Pintemps » avec la musique d'une sauvage modernité de Igor Stravinski. Ce ballet d'un rituel barbare païen crée instantanément le scandale au Théâtre des Champs-Élysées, le 29 mai 1913. Le vacarme dans la salle est tellement assourdissant que Nijinsky, en coulisses, et debout sur une chaise, doit crier les indications de rythmes aux danseurs. Un an plus tard, la composition de Stravinsky est portée aux nues. La chorégraphie de Nijinsky, elle, suscite toujours l'incompréhension du public. Vaslav est finalement renvoyé de la compagnie car il s'est marié à une jolie ballerine, ce que son ex-amant Serge de Diaghilev n'a pas supporté. Il finira tristement ses jours en hôpital psychiatrique, emporté par une drôle de folie mystique. Son leg chorégraphique est inestimable puisqu'il donnera naissance aux deux chefs-d'œuvre du « Sacre du Pintemps », version Maurice Béjart en 1960 et version Pina Bausch, en 1975.

 En savoir plus et voir le diaporama complet sur  BENJAMIN MILLEPIED, SERGEI POLUNIN, RUDOLF NOUREEV, PATRICK DUPOND, MAURICE BÉJART, PAVEL DMITRICHENKO sur http://www.vanityfair.fr/culture/art/diaporama/les-enfants-terribles-de-la-danse/38328#sSTLfuE4R2C8gQrW.99