dimanche 4 juin 2017
vendredi 2 juin 2017
dimanche 14 mai 2017
Biennale 2017: l'arte, un'esperienza viva
Torna a Venezia l'appuntamento più atteso al mondo con la Contemporanea. "Viva Arte Viva" è la 57° edizione, curata da Christine Macel, con 120 artisti provenienti da 51 nazioni
di VALENTINA TOSONI
Il racconto della vita è al centro dell’esperienza artistica. Sembra essere questa la principale direzione seguita da Christine Macel nell'ideare la 57ª Biennale d’Arte di Venezia, dal titolo «VIVA ARTE VIVA», il più importante appuntamento per il mondo dell’arte, che apre al pubblico dal 13 maggio fino al 26 novembre. La mostra conta 120 tra artisti e collettivi partecipanti, provenienti da 51 Paesi, di questi 103, sono presenti per la prima volta nell’Esposizione Internazionale. Sono poi 85 le partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, tra cui le new entry Antigua e Barbuda, Kiribati e Nigeria. Quindi, la Biennale 2017 torna a porgere sul contemporaneo uno sguardo femminile: Christine Macel, chief curator del Center Pompidou, è la quarta donna chiamata per la direzione artistica nei 122 anni di storia di questa manifestazione, dopo Maria de Coral e Rosa Martinez, che insieme curarono quella del 2005, e Bice Curiger a cui fu affidata l’edizione del 2011.
Se a questa Biennale torna la “Vita”, tornano
anche i protagonisti in carne ed ossa, differenziandosi in questo dalle ultime
edizioni che presentavano soprattutto opere intrise di riflessioni su
ideologie, nuove tecnologie e derive cognitive. Così, nel Padiglione centrale ai Giardini Franz West ci dorme, come Yelena
Vorobyeva e Victor Vorobyev che condividono un letto su cui riposano distesi,
Frances Stark si ritrare seduto sul divano del suo atelier, mentre Katherine Nuñez e Issay Rodriguez, due deliziose artiste filippine, si esercitano con
l’uncinetto
esibendo la stessa rilassatezza e calma delle zie di una volta. Se la noia e l’ozio possono trasformarsi in momenti di intensa creatività, sembra dirci la curatrice, anche i libri sono da sempre fonte d’ispirazione, perciò sono in
mostra quelli John Latham a forma di enciclopedie bruciate, oppure quelli di
Abdullah al Saadi più simili a
codici criptici o ancora quelli ridotti a merce da magazzino di Hassan Sharif.
Dagli assolo si passa agli happening e cercando le opere concrete, sempre meno
presenti, si incontrano esperienze raccontate e messe in scena: il brasiliano
Ernesto Neto ospiterà indios
amazzonici per riti di guarigione, Yaruba Anna Halprin, artista americana molto
anziana, riproporrà davanti
alla Biennale la sua Planetary Dance, ballo per la pace di cui è già presente
il video nel padiglione centrale dell’Arsenale,
mentre l’artista
nigeriano Jelili Atiku apparirà su un
cavallo bianco nel giardino delle Vergini.

Il presidente Paolo Baratta e la curatrice Christine Macel
I Padiglioni delle nazioni ai Giardini sembrano interrogarsi sul presente attraverso nomi già noti e quotati, come Mark Bradford per il Padiglione degli Stati Uniti, Phyllida Barlow per la Gran Bretagna e Anne Imhof per la Germania. Una scelta ribaltata dal Padiglione Italia all’Arsenale, curato da Cecilia Alemani, già da molti giudicato il più sbalorditivo, che gioca su una triplice presenza. "Il mondo magico", titolo ispirato a quello di un libro dell'antropologo Ernesto de Martino (1908-1965), propone opere che ritraggono ‘Cristo’ in versione ‘mummia’, realizzate da Roberto Cuoghi, il percorso prosegue attraverso l'installazione altrettanto suggestiva ed emozionante "La fine del mondo" di Giorgio Andreotta Calò, fino alla video installazione di Adelita Husni-Bey. "E' bellissimo", ha detto entusiata il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini presente all'inaugurazione del Padiglione. Il Ministro ha poi sottolineato il valore della scelta di Cecilia Alemani come curatrice dopo una attenta selezione e fatto un plauso "alla scelta intelligente di restringere il numero degli artisti presenti", riferendosi a edizioni passate piuttosto caotiche.
Molte poi le novità di questa edizione all’insegna di una maggiore disponibilità alla condivisione da parte degli artisti: incontri con il pubblico all’ora di pranzo ai Giardini e all’Arsenale, iniziativa chiamata “Tavola Aperta”, che si svolgerà ogni venerdì e sabato, video-selfie in cui si presentano e persino liste dei loro libri preferiti redatte per il progetto «La mia biblioteca». Come sempre poi, intorno alla Biennale si dipana in tutta la città un‘offerta immensa di altre occasioni da non perdere e se quest'anno tutto sembrerebbe ruotare intorno all’uomo, alla vita e ai temi della magia e del sogno, vale la pena perdersi per le calli e immergersi nell’incantesimo che celebra, tra gli altri, il ritorno del ragazzo cattivo della Young British Art, Damien Hirst alla Fondazione Pinault (Punta della dogana e Palazzo Grassi) e di un colosso del nostro design come Ettore Sottsass, alle Stanze del Vetro della Fondazione Giorgio Cin.
samedi 8 avril 2017
Aleksander Ekman, coreografo-portento: "Una parodia dei cliché della danza moderna"
di ANNA BANDETTINI
La Repubblica Pubblicato il 31 marzo 2017
Svedese, orgogliso freelance, è richiesto in tutto il
mondo, dalla Germania alla Nuova Zelanda finoa
Parigi. Con il suo 'Cacti' sarà in Italia, all'Opera di Roma, dal 31 marzo.
È la dimostrazione che nel mondo della danza moderna c'è ancora voglia di confrontarsi, di ribellarsi, di fare ricerca per
necessità. Si
chiama Aleksander Ekman, 33 anni, ed è il nuovo
astro della coreografia contemporanea, per l'esattezza quasi matematica delle
sue danze e insieme l'intrusione di oggetti e immagini del nostro presente: nel
suo Sogno di una notte d'estate il balletto di Dresda danzava tra pile di fieno
che venivano gioiosamente lanciate per aria, ha inserito una coppia gay tra i personaggi
del classico Swan Lake per cui ha riempito di acqua il palcoscenico del Teatro
Reale di Oslo e i ballerini muovendosi schizzavano l'acqua come in una maestosa
piscina. Svedese, orgoglioso freelance, Ekman è richiesto dovunque, dalla Germania alla Nuova Zelanda: a dicembre è attesissimo il suo debutto all'Opera di Parigi dove sta allestendo Play
dedicato al gioco, prima firmerà a
Chicago una novità con il
Joffrey Ballet, progetta una installazione con i ballerini del teatro reale
norvegese per giugno. In Italia si vedrà nella
capitale dal 31 marzo il suo Cacti successo mondiale del 2010 presentato dal
Corpo di ballo dell'Opera di Roma in un interessante Trittico di modern dance
che comprende anche The Concert di Jerome Robbins e Annonciation il cult di
Angelin Preljocaj.

Cacti è un pezzo divertente, energetico, comunicativo, “una parodia dei cliché della danza moderna e dello sguardo dei critici sulla danza stessa, su cosa secondo loro gli spettatori devono vedere o no”, dice Ekman che ha messo 16 ballerini su altrettante pedane bianche (col Corpo di Ballo di Roma, il primo ballerino Claudio Cocino e Annalisa Cianci e tra loro in scena il Quartetto Sincronie) a creare quadri e variazioni, a giocare con il corpo tra cadute, scontri, fughe, a un certo punto tenendo pure tra le mani anche un cactus, appunto. Il tutto su una struttura coreografica molto rigida e definita.

“Quando lo creai, sette anni fa, cominciavo ad avere recensioni pubbliche dei miei lavori, a leggere tutta questa gente che dava opinioni sul mio lavoro, cose di cui essere orgoglioso, certo. Ma una certa altezzosità intellettuale qui viene giocata nella forma di in un divertimento popolare”, spiega il coreografo. “E poi il cactus è un oggetto che può essere interpretato in modo molti diversi. Mi piace, perché richiede di stare molto attenti”. Della sua leggenda di innovatore Ekman dice: “Kylián, Mats Ek mi hanno sicuramente influenzato con le loro creazioni. Mi piace catturare l'attenzione del pubblico, far dimenticare allo spettatore la vita reale, fargli vedere quello che vorrei vedere io. Da ragazzo ho visto molte cose e molte davvero noiose. Ecco io vorrei far vedere ciò che non si è mai visto prima.Non quello che è corretto ma ciò che sorprende lo spettatore. Almeno per me è così : quando vado a teatro voglio essere svegliato”.
http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2017/03/31/news/aleksander_ekman-161879686/
vendredi 24 mars 2017
È morta la coreografa Trisha Brown, una vita per la danza contemporanea
La coreografa
americana Trisha Brown è morta il 18 marzo in
Texas a Sant'Antonio a 80 anni, seguendo di qualche mese quella del marito,
l'artista Burt Barr che con lei aveva collaborato. "È con profonda tristezza che diamo l'annuncio della
morte, al termine di una lunga malattia", ha scritto ieri la sua
compagnia, ancora acclamata nel mondo, in un comunicato pubblicato su Twitter.
Da tempo si
sapeva che le condizioni di salute della grande danzatrice e coreografa
americana erano ormai arrivate a un punto di non ritorno. In Italia, la sua
compagnia era venuta l'ultima volta nel 2014, ospite al Ravenna Festival con il
'Farewell tour', una sorta di antologica con pezzi cult del passato e nuove
coreografie che ancora una volta avevano mostrato lo slancio innovativo del
lavoro di Trisha Brown con quel pezzo d'apertura, Son of Gone Fishin’ del 1981, dove ogni sera i danzatori
improvvisavano su pezzi diversi di musiche firmate da Robert Ashley. Ma questa
era Trisha Brown: fantasiosa e sperimentale, la prima a portare la danza in
luoghi non convenzionali, a far ballare i ballerini in jeans, scalzi, a usare
la musica (ma spesso anche a non usarla) in modo libero, a intrecciare il
lavoro sul movimento con altre arti a
cominciare da quelle visive – basterebbe ricordare la
sua lunga collaborazione con Robert Rauschenberg – a giocare con l'improvvisazione... E tutto questo
in oltre 100 coreografie e sei opere, dagli anni Settanta al 2011 data della
sua ultima “novità” come coreografa perchè come ballerina aveva già lasciato nel 2008.
Longilinea, i
capelli riccioluti era stata una autentica rappresentante dell'ondata
innovarice, ribelle, underground della New York tra gli anni Settanta e
Ottanta, creando uno stile astratto, radicale ma nello stesso tempo
comunicativo e di grande impatto: artista amata dal Balletto dell'Opera di
Parigi, da Mikhail Baryshnikov e dagli artisti più sperimentali come Donald Judd o Laurie Anderson.
Trisha Brown era
nata ad Aberdeen, nello stato di Washington il 25 novembre del 1936. Si era
diplomata in danza nel 1958. Attratta dagli studi sull'improvvisazione si
trasferisce nel '60 a New York e studia
con Merce Cunningham, entra nella fucina del
Judson Dance Theater, si incrocia con Steve Paxton e Yvonne Rainer. Nel
1970 fonda la sua compagnia, fino al 1979 formata da sole donne. E lì comincia l'avventura: allena i suoi ballerini a
una astrattezza e leggerezza quasi da sogno, come a vincere la gravità, appesi a grandi funi fa scalare loro le pareti
come in Walking on the Wall, o Roof Piece dove danzano in 12 tetti di palazzi
tra 10 blocchi di SoHo.
Dell'83 il
capolavoro Set e Reset con le musiche di Laurie Anderson e disegni di
Rauschenberg, che viene considerata il manifesto della danza postmoderna.
Seguita da For M.G.: The Movie (1991) con musiche di Alvin Curran, del '96 You
can see us, lei di spalle in una danza a specchio con Mikhail Baryshnikov. Alla
fine degli anni Novanta, dopo 30 anni di sperimentazione esordisce nel mondo
dell'opera con L’Orfeo di Monteverdi
(1998), cui seguirono anche molte coreografie ispirate dalla musica classica. Le
ultime: L’Amour au théâtre (2009) e Les Yeux et l’âme (2011).
Nella storia
della danza e nel cuore di chi l'ha conosciuta Trisha Brown lascia il ricordo
di corpi in un movimento estremamente raffinato e semplice, vivo, pieno di
salti, slanci, corpi pronti a scattare, carichi di energia e impulso ma nello
stesso tempo sensuali. La sua compagnia resta il lascito più importante: non solo perché continua a tenere viva la memoria dei grandi
lavori in repertorio,ma per proseguire la linea aperta da Trisha Brown con le
nuove leve sottoposte allo stesso duro training fisico dei danzatori di un
tempo.
mercredi 15 mars 2017
A Milano c'è Kandinskij, il maestro dell'invisibile
Dalla tradizione russa ai primi
quadri astratti. Una grande mostra al Mudec propone un viaggio alla
scoperta dell'arte del grandissimo russo: 130 opere, 50 dipinti e
spettacolari visual-telling in 3d
di
VALENTINA TOSONI
Come
tutti i bambini, mi piaceva enormemente cavalcare. Per accontentarmi,
il nostro cocchiere mi foggiava a guisa di cavallo bastoni sottili da
cui ritagliava strisce di corteccia a spirale”. L’idea
di voler essere un cavaliere e percorrere in libertà spazi
inesplorati era già presente nelle fantasie infantili di Vasilij
Kandinskij e
a questo desiderio non rinunciò nemmeno da adulto, esplorando con
audacia e galoppando senza timori alla conquista di territori mai
percorsi dall’arte figurativa prima di lui. Fondamentale il periodo
di formazione dell’immaginario visivo del grande artista russo, che
continuò ad emergere nell’arco di tutta la sua ricerca, proprio a
ciò è dedicata la mostra
dimanche 12 mars 2017
Cygnes noirs Les enfants terribles de la danse
Vaslav Nijinsky, le scandaleux prolifique
« On m'a dit que j'étais fou. Je croyais que j'étais vivant. Ma folie, c'est l'amour
de l'humanité. » (Libération).
L'audace royale : Enfant de danseurs polonais, Vaslav
Nijinski est né à Kiev, en Ukraine, le 12 mars 1889. Entré à l'académie de danse impériale de Saint-Pétersbourg à l'âge de
onze ans, il est repéré, pour ses incroyables sauts, par
Serge de Diaghilev qui l'enrôle dans
sa compagnie des Ballets Russes. Mais ce dernier se heurte au refus du théâtre Mariinski, choqué par l'attitude du danseur. D'un tempérament de feu, le jeune homme avait
eu l'audace de danser Giselle devant la famille tsarine, les Romanov, en
justaucorps et maillot moulant. Déjà, le jeune homme témoignait de son insoumission aux règles chorégraphiques et sociales. Et par lui arriva le « scandale ».
L'appétit de
scandale : Pour sa première chorégraphie au sein des Ballets Russes de
Serge de Diaghilev, Vaslav Nijinsky opère une
véritable révolution. « L'Après-midi d'un faune » (1912) est un ballet en un acte
consistant en une succession de petits mouvements saccadés et cassés où l'orgasme est puissament mimé. La réaction
de la presse, offusquée, ne
se fait pas attendre. Le Figaro écrit : « Je suis persuadé que tous les lecteurs du Figaro qui étaient hier au Châtelet m'approuvent si je proteste
contre l'exhibition trop spéciale
qu'on prétendait nous servir comme une
production profonde, parfumée d'art
précieux et d'harmonieuse poésie. (...) Nous avons eu un Faune
inconvenant avec de vils mouvements de bestialité érotique et des gestes de lourde
impudeur. » Le succès est pourtant au rendez-vous et la
suite est éclatante : il crée la mythique chorégraphie « Le Sacre du Pintemps » avec
la musique d'une sauvage modernité de
Igor Stravinski. Ce ballet d'un rituel barbare païen crée instantanément le scandale au Théâtre
des Champs-Élysées, le 29 mai 1913. Le vacarme dans la salle est tellement
assourdissant que Nijinsky, en coulisses, et debout sur une chaise, doit crier
les indications de rythmes aux danseurs. Un an plus tard, la composition de
Stravinsky est portée aux nues. La chorégraphie de Nijinsky, elle, suscite
toujours l'incompréhension du public. Vaslav est
finalement renvoyé de la compagnie car il s'est
marié à une jolie ballerine, ce que son ex-amant Serge de
Diaghilev n'a pas supporté. Il
finira tristement ses jours en hôpital
psychiatrique, emporté par
une drôle de folie mystique. Son leg
chorégraphique est inestimable
puisqu'il donnera naissance aux deux chefs-d'œuvre du
« Sacre du Pintemps », version Maurice Béjart en 1960 et version Pina Bausch,
en 1975.
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