dimanche 19 mai 2019

Spoleto 2019, oltre a teatro, musica e danza c'è la moda con Jean-Paul Gaultier


Dal 28 giugno al 14 luglio il cartellone quest'anno si concentra sui miti: letterari, artistici. L'inaugurazione con 'Proserpine'

È uno dei festival più longevi - siamo alla 62esima edizione - dei più ricchi dell’estate italiana (5 milioni di euro, tanto per il nostro paese "ma Salisburgo ne ha 80", replica il direttore) e anche quello che, tra alti e bassi, ha subìto meno trasformazioni, sempre caratterizzato come è dalla vocazione internazionale e dall’attenzione per gli 'eventi' originali. Spoleto Festival dei 2 Mondi diretto dal 2007 dal regista Giorgio Ferrara, non sarà da meno: in programma dal 28 giugno al 14 luglio, con il consueto cartellone di danza, musica, teatro, incontri, sembra concentrarsi in particolare sui miti: letterari, artistici (il teatro di tradizione giapponese) e viventi come l'auto-omaggio spettacolare del più estroso degli stilisti, Jean-Paul Gaultier.

Un mito femminile è quello dell’apertura il 28 e 30 giugno con Proserpine, tratta dal poema drammatico di Mary Shelley, adattato da René de Ceccatty e Giorgio Ferrara, anche regista, con la musica di Silvia Colasanti, valente compositrice nostrana, e sul podio Pierre-André Valade. Sempre in musica la chiusura il 14 luglio con il concerto in piazza Duomo diretto da Daniele Gatti con l'orchestra e il coro del Teatro dell'Opera di Roma. Ma andiamo con ordine. Prosperpine è l’adattamento della tragedia pastorale di Mary Shelley, sul rapimento di Proserpina da parte di Plutone, poi convinto dal padre di lei, Giove, a lasciarla libera in primavera e in estate, e farla sua in autunno e in inverno: per fortuna Mary Shelley ne fa una storia sull'ambiguità dei sentimenti, quello materno, quello filiale, ma anche quello maschile. Dice il direttore Ferrara: "L'opera fa parte di un progetto per una trilogia di rivisitazione dei miti antichi come approccio dell'inconscio e dei rapporti umani, in modo relativamente astratto, con la musica aerea, espressiva e neoclassica della Colasanti".

Nel programma la danza abbonda, specie quella dei Maestri. Dal 28 giugno si vedranno in scena i 42 ballerini tra attori,  cantanti e giovani ballerini della Ecole-Atelier Rudra Bejart di Losanna, fondata nel 1992 da Maurice Bejart, in My French Valentino, che rilegge il mito italiano di Rodolfo Valentino con le coreografie Valérie Lacaze. Dal 5 luglio focus su Hans Van Manen il padre della coreografia olandese, 87enne coreografo del neoclassicismo razionale, celebre per la raffinata semplicità e la linearità dei suoi lavori. Van Manen ha creato oltre 100 balletti con l'Het Nationale Ballet di Amsterdam  ma anche con le più importanti formazioni internazionali e naturalmente con il Dutch National Ballet che qui presenta tre dei suoi titoli maggiori: Adagio Hammerklavier considerato il capolavoro di Van Manen, Kleines Requiem del '93 e 5 Tangos su musiche di Astor Piazzolla.

Altro focus i 100 anni dalla fondazione della Bauhaus, dal 12 luglio con un programma speciale, a cura di Franco Laera, che ripercorre quello che fu il "cantiere della modernità" (titolo dell’intero progetto) all’inizio del  XXesimo secolo, che formò intere generazioni di artisti. Si vedranno le ricostruzioni del Balletto triadico di Oscar Schlemmer del 1922 dai documenti originali d'archivio della Akademie der Kunste e Quadri di una esposizione di Vassily Kandinsky sulle musiche di Modest Musorgsky del 1928, "una complessa composizione scenica, che si presenta come interazione tra paesaggio, musica, colore, luce e forme geometriche che traggono ispirazione dei dipinti di Kandinsky, alcuni dei quali sono andati persi". Sempre nella ricorrenza della Bauhaus sono previste incontri e testimonianze allo spazio Carla Fendi, grande mecenate del festival fino alla sua morte, con Achille Bonito Oliva, Roberto Favaro, Nele Hertling, Ivan Liska Vincenzo Trione, Laura Valente. Tra i ricordi in programma un incontro di Leonetta Bentivoglio in memoria di Pina Bausch.

Decisamente spettacolare si preannuncia l'autocelebrazione del più provocatorio e esuberante stilista, Jean Paul Gaultier. Suoi testi, regia e – naturalmente- costumi di Fashion Freak Show dal 4 luglio: sul palcoscenico, attori, ballerini, cantanti e artisti circensi in un lavoro che intreccia disco music, funk, pop, rock. A proposito di anniversari e ricordi, va iscritto anche dal 29 il ritorno di Marisa Berenson in Berlin Kabarett di Stéphan Druet. Con altri interpreti, l’attrice di Stanley Kubrick e Luchino Visconti, interpreta la direttrice di un cabaret nella Berlino della Repubblica di Weimar. E se parliamo di ritorni, ecco dal 5 luglio l'87enne Adriana Asti diretta per l’occasione dalla leggendaria regista coreografa Lucinda Childs in La ballata della Zerlina di Hermann Broch, un'altra drammaturgia di René de Ceccatty sull’amore, l’erotismo e la ribellione. Musiche da Philip Glass a Laurie Anderson. Per il teatro dal 4 luglio Emma Dante porta Esodo una rilettura “zingara” dell'Edipo Re di Sofocle con gli allievi attori della "Scuola dei mestieri dello spettacolo" del Teatro Biondo di Palermo e dal 5 luglio Coltelli nelle galline regia di Andreè Ruth Shammah con Eva Riccobono nel triangolo sentimentale “campagnolo” immaginato dalla penna di David Harrower. Una curiosità culturale lo spettacolo di teatro tradizionale giapponese il 28 e 29 con esempi di Kyogen e No, stili antichi della scena nipponica. Tra gli interpreti Yusuke Kanai, attore fra i più rinomati del teatro no in Giappone, caposcuola della scuola Hosho. Immancabile a Spoleto, Corrado Augias è in scena con una delle sue storie: Lucrezia Borgia dal 12 luglio raccontata attraverso la ricostruzione delle testimonianze e interpretazioni di Ferdinand Gregorovius, Victor Hugo, Geneviève Chastenet. Mentre dal 6 luglio è in programma L'elogio dell'Oblio di Paolo Mieli.

La musica riserva il 12 e 13 luglio il concerto col pianoforte di  Stefano Bollani e il  bandolim di Hamilton De Holanda. Ma prima, il 7 luglio, c’è Vinicio Capossela con la Cantata per le creature ( Perfetta Letizia e altre ballate per uomini e bestie), sua interpretazione di “Il Cantico delle Creature” di Francesco d’Assisi. Come sempre dal 29 giugno ci sono poi i Concerti di mezzogiorno. Tra le iniziative collaterali, “European Young Theatre”, cinquanta giovani attori e registi delle più importanti scuole europee e del mondo propongono i loro studi e performance, confrontandosi in una Groups Competition che si intreccia con il "Progetto Accademia" dedicata alla presentazione delle migliori esercitazioni e dei migliori saggi del 2019 dell’Accademia Silvio d'Amico di Roma presieduta da Salvatore Nastasi e diretta da Daniela Bortignoni. Inoltre il 30 giugno a cura della Fondazione Carla Fendi e con la regia di Quirino Conti, Ecce Robot esplora l’intelligenza artificiale attraverso testimonianze illustri e immagini filmiche. Repubblica, media partner, come ogni anno da qualche edizione in qua, sostiene i giovani all’interno del festival con il Premio Repubblica che sarà assegnato un talento emergente.


 https://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2019/04/18/news/spoleto-224363317/

mercredi 6 mars 2019

Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti Biennale


Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti
William Forsythe 

Presentato il programma dei festival 2019: Danza (dal 21 al 30 giugno), Teatro (dal 22 luglio al 5 agosto), Musica (dal 27 settembre al 6 ottobre)
di ANNA BANDETTINI

Almeno dai tempi della direzione di Carmelo Bene, di Luca Ronconi e, in generale, dagli anni Settanta, i festival delle arti dal vivo della Biennale di Venezia, teatro, musica - e molto più avanti, dal '99, la danza - sono interessanti occasioni di scoperta. Certo, è difficile dire cosa sia nuovo nel mondo dello spettacolo oggi, ma se parliamo di rovesciamento del tradizionale modo di creare, di irruzione di linguaggi inediti, di esplorazione di orizzonti geografici e artistici lontani, di "luogo di ricerca", per usare la definizione della Biennale dal presidente dell'istituzione veneziano, Paolo Baratta, allora tutto diventa più chiaro: che siano le estensioni robotiche musicali di Aperghis in Thinking Things in programma quest'anno nel festival di musica, o la "danza" del battito di ciglia della brasiliana Michelle Moura che si vedrà a Venezia in calendario per la danza.

Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti

E dalla finestra sul contemporaneo che spalanca la Biennale è anche interessante notare gli elementi di intersettorialità, che sempre più si stanno sviluppando tra le arti come confermano i programmi dei festival 2019 dove non mancano accavallamenti stimolanti di linguaggi: nei dieci giorni di Danza dal 21 al 30 giugno selezionati dalla coreografa Marie Chouinard intorno al tema del danzatore "artista del corpo, dello spazio, del tempo"; nelle due settimane di serrato calendario del festival di Teatro di Antonio Latella dal 22 luglio al 5 agosto dedicato quest'anno alle "drammaturgie", intese non solo come "narrazione di parole", ma "sinergia tra testo, attori, formazione del pubblico", fino al sempre colto e stimolante festival di Musica dal 27 settembre al 6 ottobre che il direttore Ivan Fedele ha orientato verso artisti e produzioni del "vecchio continente".
E se il "nuovo" nelle arti è ibridazioni e intrecci, a Venezia lo prova innanzitutto la scelta dei Leoni d'oro: quello ad Alessandro Sciarroni per la danza (e al festival si vedranno due suoi lavori Your Girl e Augusto), che già ha creato molte discussioni sul web perché è un riconoscimento controcorrente a un performer dopo che in passato era stato dato a grandi nomi della coreografia a cominciare da Carolyn Carlson o Merce Cunningham. Ma un segno diverso è anche quello al tedesco Jens Hillje, dramaturg alla tedesca, perché parliamo di uno scrittore che è anche coordinatore di spettacoli e di pubblico; come pure è inconsueto Leone musicale all'inglese George Benjamin il cui linguaggio ambisce a essere percepito dal più vasto pubblico e di cui verrà presentata la versione concertistica di Written on skin.

Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti
Chico e Matijevic

E infatti sono le curiosità la ricchezza dei tre programmi (consultabili sul sito della Biennale). Per la Danza oltre ai classici Sasha Waltz, Daniel Léveillé, William Forsythe, non è da perdere Bára Sigfúsdóttir che insieme al compositore e trombettista norvegese Eivind Lønning, fra i nomi di maggior spicco nel panorama musicale nordeuropeo, perlustra il rapporto tra il movimento della danza e il silenzio, o l'austriaca Doris Uhlich che fa ballare artisti disabili o ancora Giuseppe Chico e Barbara Matijevic che mostrano come il web incida sulle azioni di un danzatore.

Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti
Bara Sigfusdottir e Eivind Lonning

Tra le coniugazioni (e non contaminazioni come tiene a precisare il direttore Ivan Fedele) più interessanti, nel festival della Musica, c'è Songbook, che unisce un quartetto rock, un ensemble classico amplificato e il live electronics, dell'autore-performer Matteo Franceschini, il Leone d'argento di quest'anno, o la visionaria ricerca di nuove sonorità di Nomaden,  del compositore tedesco Joël Bons che intreccia strumenti di diverse culture geografiche, dal duduk armeno al setar iraniano al tombak siriano, e ancora l'acclamata arpista Elena Battigelli che intreccia l'elettronica a uno strumento dalle sonorità antiche. Senza tralasciare Filippo Perocco e Lucia Ronchetti, importanti artisti della musica contemporanea italiana, che presentano due lavori "teatrali" con i testi del poeta e saggista russo-americano Eugene Ostashevsky, oltre all'apporto scenografico e registico di Antonino Viola e Antonello Pocetti. Così come il complesso fiammingo Hermes Ensemble, fondato nel 2000 dal direttore Koen Kessels, che presenta i lavori di Wim Henderickx e Vykintas Baltakas sono concepiti con l'artista visivo e musicista newyorchese Kur.

Biennale, il nuovo è un linguaggio che fa parlare le arti
Hermes Ensemble

Se queste forme di  ibridazione, sempre più frequenti nell'arte contemporanea, hanno sviluppi inediti anche sulle specifiche forme espressive, sarà interessante verificare ciò che accade nel Teatro. Il festival  non a caso aprirà il suo calendario con Heiner Müller, il drammaturgo tedesco che a partire in particolare dagli anni Sessanta ha smontato la drammaturgia tradizionale e che a Venezia si vedrà con Mauser nella messa in scena del serbo Oliver Frljic, artista tra i più radicali della scena dell'est europeo. Interessante si preannuncia la "scoperta" di due artiste australiane già molto note nel loro continente, Susie Dee e Patricia Cornelius. La drammaturgia che  a partire dalla tradizione prenderà altre strade, è il Cechov di Il giardino dei ciliegi diretto da Alessandro Serra, artista su cui si stanno dirottando molte attenzioni dopo l'emozionante Macbettu, ma anche - restando orgogliosamente in Italia - i lavori di un giovane autore e regista come il napoletano Pino Carbone che arriva a Venezia col sostegno di Teatri Uniti, e l'ormai illustre Lucia Calamaro con la sua novità, Nostalgia di Dio.

Ma scoperta e novità vuol dire anche ricerca di giovani talenti scouting e la Biennale, da una saggia intuizione del presidente Baratta, lo fa ormai in modo istituzionale con la Biennale college che non solo mette in contatto per dieci giorni artisti alle prime armi con i grandi maestri, ma sostiene ogni anno la produzione di esordienti selezionati: dai quattro lavori di teatro musicale di giovani compositori della Musica, ai due registi prodotti dalla Biennale Teatro (e quest'anno verranno selezionati anche lavori drammaturgici) alla giovane coreografa emersa nel College Danza dello scorso anno.


lundi 4 février 2019

a consommer sans aucune modération


Fréquence Médiévale :

http://www.frequencemedievale.fr/


La mort de Bobò, l’acteur fidèle de Pippo Delbono



Il était de tous les spectacles de Pippo Delbono depuis 1995, depuis sa rencontre avec le metteur en scène italien. Il s’appelait Vincenzo Cannavacciuolo. Il avait 82 ans. Pippo Delbono l’avait sorti de son asile. Il est décédé des suites d’une pneumopathie bronchique.

“L’acteur est un oiseau dont une aile touche la terre, tandis que l’autre se tient dans le ciel …” écrit sur son site internet le théâtre Ert-Emilia Romagnal qui rend hommage à Bobò. Il devait accueillir le mois prochain La Gioia, le nouveau spectacle de Pippo Delbono, dont le Théâtre de Liège est chargé de la diffusion. Bobò s’appelait Vincenzo Cannavacciuolo. Né à Villa di Briano, dans la province de Caserte, il a vécu plus de quarante ans à l’asile d’Aversa. Pippo Delbono décide de le sortir de cet enfer en 1995 lorsqu’il le rencontre lors d’un atelier théâtral. Bobò acteur microcéphale, sourd-muet, devient l’un des piliers de la troupe. Son corps maladroit, ses pas traînants, ses silences en disant longs sur ses blessures. A la fureur et la rage de Pippo Delbobo répondait la tendresse et la poésie de Bobò qui était devenu au fil des années un acteur reconnu. Il avait été nommé chevalier des arts en France et avait reçu le titre de citoyen d’honneur d’Aversa, la ville où il avait été emprisonné pendant des années dans un asile: une revanche. Dans La Gioia, Pippo Delbono dit: “Après Bobò, il y a toujours un vide.” Ses spectacles ne seront plus jamais les mêmes.

mardi 9 octobre 2018

EVOL de CLAIRE CROIZÉ


Du 16 > 20 OCT au Théatre de la Bastille

Dansé par Claire Godsmark, Youness Khoukhou, Emmi Väisänen et Jason Respilieux
Pour qu’éclose Evol, Claire Croizé a confié à ses interprètes la première des Élégies de Duino de Rainer Maria Rilke.

Éprouvant les vers du poète allemand, chaque danseur en livre sa propre interprétation, une traduction intime dont il partage l’infinie beauté avec le public. Sur scène, les gestes se font amples et raffinés, mêlant romantisme savant et lyrisme pop. Ils racontent la quête d’un artiste pour qui la poésie et l’amour sont les seuls espoirs de réconcilier la conscience humaine avec le monde. C’est d’abord dans le silence que s’élaborent les mouvements. Puis surgissent les tubes de David Bowie, surtout issus de Hunky Dory, son album le plus sensible. Dans Evol, le poète invoque des anges qui portent dessiné sur le front l’éclair céleste de Ziggy Stardust. Avec sincérité et tendresse, Claire Croizé célèbre ainsi sa foi dans la beauté intuitive des corps, ravivant la grâce fébrile et mélancolique de l’adolescence.

http://www.theatre-bastille.com/saison-17-18/les-spectacles/evol

jeudi 4 octobre 2018

Perché tutti dovrebbero vedere almeno una volta "Gala" di Jérome Bel

Venti ballerini dilettanti si ebiscono nello spettacolo del coreografo francese. Il risultato è uno splendido elogio della diversità che insegna a guardare l'altro come se fossimo noi 
BENEDETTA PERILLI (La Repubblica)

In prima fila, di spalle, i riflettori illuminano le paillettes dei pantaloni che le abbracciano le forme. Silenzio in sala, Chiara è immobile, davanti a lei ci sono gli altri 19 ballerini quasi per caso di "Gala", di Jérôme Bel. "She's a maniac": quando parte la musica si riconosce subito il motivo di "Flashdance". Chiara tiene il tempo con la gamba, gli altri la imitano. Poi esplode in una danza tanto incontenibile quanto pura. Chiara ha 48 anni, il viso truccato, gli abiti che indossa li ha scelti lei. Chiara ha anche la sindrome di Down ma a vederla muoversi sembra proprio l'ultima delle sue qualità. Sul palco del Teatro Argentina è una dei danzatori, professionisti e non, scelti a Roma dal coreografo francese per il suo "evento collettivo di decostruzione della rappresentazione istituzionale della danza", altrimenti detto prendi quattro ballerini professionisti, due attori e sedici perfetti amateur e mettili su un palco guidati da un grande coreografo.

Gala di Jérome Bel è l'elogio della diversità a passi di danza

Il risultato è che vedere ballare Chiara è bello come vedere Patrizia, che di anni ne ha 70 e improvvisa dei passi ispirati al tai chi, e come vedere la splendida Ella che con le sue lunghe trecce si muove come Beyoncé e come Giacomo, che gli altri li guida muovendo la sedia a rotelle. Dà la stessa emozione. C'è pure un 85enne vestito con tuta rossa e gilet dorato, con tanto di nipote in platea che a vederlo danzare ride di gioia; ci sono tre bambini, tra i quali un dinoccolato felice, uno scalmanato e una atletica con le codine; una ginnasta in body fucsia; due signore sulla cinquantina e forse anche più; c'è pure Sonia, la cinese più famosa di Roma proprietaria di un noto ristorante capitolino. E sono solo alcuni dei protagonisti della seconda, e ultima, replica di "Gala" andata in scena il 10 settembre nell'ambito del festival Short Theatre

"Gala" di Jérôme Bel: venti ballerini per caso e lo splendore della diversità

Lo spettacolo ha debuttato nel 2015 al Brussels KunstenFestivaldesArts e da allora si porta dietro tre anni di successi, ovvero 167 repliche in 71 città diverse. Al punto che nei primi minuti vengono proiettate le fotografie dei teatri - senza pubblico - che lo hanno accolto. Tanti, tutti diversi: si va dal parco con le sedie in plastica alla sala ottocentesca, dal palco improvvisato nel centro commerciale a quello di design nordeuropeo. "Gala" è diventato quasi un format che si ripete in giro per il mondo,  a Roma i venti sono stati selezionati in collaborazione con Jérôme Bel e Chiara Gallerani.
Bel non è nuovo alle sperimentazioni che includono gli esclusi, era successo già con i disabili protagonisti di "Disabled Theater" e con gli spettatori "attori" di "Cour d'honneur". Stavolta gli esclusi siamo noi, dilettanti alla prova del palco per dimostrare che lo spettacolo funziona se c'è piacere di esibirsi. Ma non solo. Questi corpi, così precisi nell'esecuzione delle loro improvvisate coreografie, insegnano che l'imperfezione è più affascinante del canone; la goffaggine più libera delle risate di chi la giudica e la diversità più normale di quello che crediamo.

"Questo è un lavoro più sul pubblico che sugli interpreti - spiega Riccardo Festa, attore professionista tra i venti della versione romana di "Gala" - noi eseguiamo gesti semplici. Al netto delle scelte di drammaturgia quello che ci viene richiesto è essere molto rigorosi: ovvero balla il valzer così come pensi che per te si balli il valzer". Poi aggiunge: "Quello che emerge però non è una democrazia. Tutti siamo diversi, ognuno con la sua capacità, c'è chi balla meglio e chi meno. Il risultato? La bellezza non è nel gesto ma nell'impegno, nell'intensità di partecipare a una esposizione di sé che è molto coraggiosa. C'è un grande lavoro di decostruzione dell'ego, di imitazione dell'altro. Il pubblico ti guarda con occhio pulito perché non c'è errore se non c'è un riferimento e allora io e il ragazzo sulla sedia a rotelle diventiamo la stessa cosa". 

("Gala" a Short Theatre è in collaborazione con la Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia / Ambasciata di Francia in Italia e  in corealizzazione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale, nell’ambito di Grandi Pianure – Gli spazi sconfinati della danza contemporanea)

jeudi 16 août 2018

Le président et 65.000 Indonésiens participent à une "danse poco-poco de masse"

L'objectif était de promouvoir les Jeux asiatiques qui se dérouleront à Jakarta et Palembang.
Par Myriam Roche
INDONÉSIE - Au moins 65.000 personnes incluant le président indonésien ont participé à une même danse folklorique dimanche 5 août à Jakarta, afin de promouvoir les Jeux asiatiques dans deux semaines en Indonésie. Selon les autorités locales, l'événement a battu un record du monde en nombre de figurants.
Rangés en ligne et en colonnes, des hommes et des femmes tous habillés en blanc et rouge se sont balancés et déhanchés dans le centre de la capitale, lors de cette séance de "poco poco", comme vous pouvez le voir dans la vidéo ci-dessus. Cette danse est originaire de la région de Manado, dans le nord de l'île des Célèbes.
Le président indonésien, Joko Widodo, son épouse Iriana et des membres du gouvernement ont participé à l'événement qui s'est déroulé dans le parc du monument national et des avenues de la ville, vers 6h du matin, afin d'éviter la chaleur tropicale de la journée.
"Nous effectuons une danse poco-poco de masse avec la participation de 65.000 personnes, établissant un record du monde et montrant que le poco-poco vient bien d'Indonésie", a déclaré le chef de la police nationale, Tito Karnavian, qui a lui aussi participé à ce rassemblement, ainsi que d'autres policiers, des militaires, des députés ou encore des étudiants.
Aucune information n'a été donnée sur un éventuel précédent record. "Il s'agit d'une très bonne opportunité pour montrer que l'Indonésie conserve ses traditions", a expliqué un étudiant, Raja Farid Akbar, parmi les danseurs à Jakarta.

Les Jeux asiatiques, auxquels sont attendus environ 11.000 athlètes pour une quarantaine de disciplines sportives, se dérouleront du 18 août au 2 septembre à Jakarta et Palembang, ville dans le sud de l'île de Sumatra. Il s'agit du plus grand événement omnisports au monde après les Jeux olympiques.

lire l'article sur le Huffingtonpost

dimanche 5 août 2018

Michael Clark, il genio ribelle della danza britannica

di ANNA BANDETTINI


Tra tossicodipendenza, cadute e riprese, l'irriverente coreografo scozzese è considerato un maestro e un innovatore. Dopo la prima italiana a Bolzano, in scena a Firenze 'to a simple, rock'n' roll . . . song.', trittico dedicato a Satie, Patti Smith e Bowie

Negli anni Ottanta è stato una travolgente eccezione nella danza britannica. Un genio, un talento, ma anche un ribelle, un irriverente, uno che da ragazzo era una delle migliori promesse della Royal Ballet School ma di nascosto sniffava colla. Giovanissimo ha fondato una sua compagnia, è diventato una star dell'underground londinese, ma anche tossicodipendente e depresso. Caduto e rinato decine di volte, il coreografo scozzese Michael Clark ha attraversato l'ultimo trentennio della danza da protagonista eccentrico, ma pur sempre da protagonista.


Oggi che ha 56 anni, la testa calva, gli occhiali, innata eleganza, un gusto iconoclasta non solo nella danza, ha sempre l'aria da bad boy ma è considerato un "maestro" della danza contemporanea, un innovatore per come ha saldato il rigore tecnico del classico con l'irrequietezza del punk-rock in cui si è mosso fin da giovane negli anni della ribellione antiThatcher.
Chiaro che vederlo all'opera, assistere a una delle sue creazioni è sempre un evento, specie in Italia dove un balletto di Michael Clark non si vede da molto tempo. Un plauso, dunque, a Bolzano Danza, il festival diretto da Emanuele Masi, che di anno in anno sta diventando sempre più ricco e interessante e che si è aggiudicato la prima italiana di to a simple, rock'n' roll . . . song., ultima coreografia di Clark, molto applaudita dalla stampa inglese, attesa stasera al Florence Dance Festival, dove andrà in scena nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella.
Creato nel 2016 al Barbican di Londra, to a simple, rock'n' roll . . . song. intreccia precisione tecnica e fantasia visiva e di movimento, in un trittico dedicato a tre grandi della musica del Novecento: Erik Satie per il 150esimo della nascita, Patti Smith da cui arriva anche il titolo dello spettacolo e David Bowie, un autentico cult per Michael Clark.


Se il brevissimo (dieci minuti), elegante omaggio a Satie è tutto nel solco della modern dance "rinnovata" e porta nella memoria il lavoro di altri maestri della danza e della musica che si sono ispirati al compositore francese (citazioni volute da Frederick Ashton, Merce Cunningham, John Cage, Yvonne Rainer) è negli altri due pezzi (ciascuno di venti minuti), anche grazie alla collaborazione del videoartista Charles Atlas, ai costumi pop e alieni di Stevie Stewart, che Clark si cala nel clima rock, nelle atmosfere più travolgenti, dissacratorie dove le modalità del balletto classico vengono "decostruite" in una  vitalità gestuale  psichedelica.
A partire dalla coreografia ispirata da Land: Horses/Land of a Thousand Dances/La Mer (De), dall'album di debutto Horses che rivelò Patti Smith come una delle star del punk rock newyorchese: sullo sfondo di immagini astratte in movimento, gli otto eccellenti ballerini in tute bianche e nere o con pantaloni a zampa in pelle trasformano la gestualità, la geometria, la simmetria del classico in qualcosa di travolgente. "Mi ci sono voluti anni per intrecciare il balletto classico con il rock. Il rock ha avuto su di me una enorme influenza - aveva dichiarato Clark in una intervista a Repubblica di qualche anno fa -  Quando studiavo al Royal Ballet mi sottoponevo alla dura disciplina della scuola, ma la sera fuggivo a Londra a vedere i concerti punk, atterrito che mi scoprissero".


Proprio in quelle nottate il coreografo ha conosciuto (ma mai personalmente, ed è un suo cruccio) David Bowie, che ha ispirato la terza, finale e più suggestiva parte di questo spettacolo di grande impatto: intitolato my mother, my dog and clowns dal brano Life on Mars dell'album omonimo di Bowie, è un pezzo di grande emozione, non la compilazione di un ricordo della star ma una sequenza di immagini non narrativa, che non si riduce a una formula standard ed esalta semmai il potere trasfigurante della danza.

Gli otto danzatori sono figure androgine nelle loro tutine argentate, omaggio al gusto "alieno" alla maniera di Ziggy Stardust, o arancioni come certe "mise" del Bowie anni Ottanta. Si muovono con controllo nei ritmi rock, attraversando momenti di vitalità irrequieta sulle tracce di Future Legend, Cracked actor dall'album Aladdin Sane, ma anche di oscura bellezza col jazz rock di Blackstar, l'ultimo album di Bowie quando l'atmosfera si fa più ambigua e drammatica e compare una figura di donna vestita di nero e con gli occhi bendati, forse ricordando la rockstar nell'ultimo video, segno della fine imminente per un uomo che nell'ambivalenza del proprio sguardo aveva costruito il proprio segreto.