http://www.frequencemedievale.fr/
lundi 4 février 2019
La mort de Bobò, l’acteur fidèle de Pippo Delbono
“L’acteur est un oiseau dont une aile touche la terre, tandis que l’autre se tient dans le ciel …” écrit sur son site internet le théâtre Ert-Emilia Romagnal qui rend hommage à Bobò. Il devait accueillir le mois prochain La Gioia, le nouveau spectacle de Pippo Delbono, dont le Théâtre de Liège est chargé de la diffusion. Bobò s’appelait Vincenzo Cannavacciuolo. Né à Villa di Briano, dans la province de Caserte, il a vécu plus de quarante ans à l’asile d’Aversa. Pippo Delbono décide de le sortir de cet enfer en 1995 lorsqu’il le rencontre lors d’un atelier théâtral. Bobò acteur microcéphale, sourd-muet, devient l’un des piliers de la troupe. Son corps maladroit, ses pas traînants, ses silences en disant longs sur ses blessures. A la fureur et la rage de Pippo Delbobo répondait la tendresse et la poésie de Bobò qui était devenu au fil des années un acteur reconnu. Il avait été nommé chevalier des arts en France et avait reçu le titre de citoyen d’honneur d’Aversa, la ville où il avait été emprisonné pendant des années dans un asile: une revanche. Dans La Gioia, Pippo Delbono dit: “Après Bobò, il y a toujours un vide.” Ses spectacles ne seront plus jamais les mêmes.
mercredi 19 décembre 2018
mardi 9 octobre 2018
EVOL de CLAIRE CROIZÉ
Du 16 > 20 OCT au Théatre de la Bastille
Dansé par Claire Godsmark, Youness Khoukhou, Emmi Väisänen et Jason Respilieux
Pour qu’éclose Evol, Claire Croizé a confié à ses
interprètes la première des Élégies de Duino de Rainer Maria Rilke.
Éprouvant les vers du poète allemand, chaque danseur en livre sa propre interprétation, une traduction intime dont il partage l’infinie beauté avec le public. Sur scène, les gestes se font amples et raffinés, mêlant romantisme savant et lyrisme pop. Ils racontent la quête d’un artiste pour qui la poésie et l’amour sont les seuls espoirs de réconcilier la conscience humaine avec le monde. C’est d’abord dans le silence que s’élaborent les mouvements. Puis surgissent les tubes de David Bowie, surtout issus de Hunky Dory, son album le plus sensible. Dans Evol, le poète invoque des anges qui portent dessiné sur le front l’éclair céleste de Ziggy Stardust. Avec sincérité et tendresse, Claire Croizé célèbre ainsi sa foi dans la beauté intuitive des corps, ravivant la grâce fébrile et mélancolique de l’adolescence.
http://www.theatre-bastille.com/saison-17-18/les-spectacles/evol
jeudi 4 octobre 2018
Perché tutti dovrebbero vedere almeno una volta "Gala" di Jérome Bel
Venti ballerini dilettanti si ebiscono nello spettacolo del
coreografo francese. Il risultato è uno splendido elogio della diversità che
insegna a guardare l'altro come se fossimo noi
BENEDETTA PERILLI (La Repubblica)
In prima fila, di spalle, i riflettori illuminano le
paillettes dei pantaloni che le abbracciano le forme. Silenzio in sala, Chiara
è immobile, davanti a lei ci sono gli altri 19 ballerini quasi per caso di
"Gala", di Jérôme Bel. "She's a maniac": quando parte la
musica si riconosce subito il motivo di "Flashdance". Chiara tiene il
tempo con la gamba, gli altri la imitano. Poi esplode in una danza tanto
incontenibile quanto pura. Chiara ha 48 anni, il viso truccato, gli abiti che
indossa li ha scelti lei. Chiara ha anche la sindrome di Down ma a vederla
muoversi sembra proprio l'ultima delle sue qualità. Sul palco del Teatro
Argentina è una dei danzatori, professionisti e non, scelti a Roma dal
coreografo francese per il suo "evento collettivo di decostruzione della
rappresentazione istituzionale della danza", altrimenti detto prendi
quattro ballerini professionisti, due attori e sedici perfetti amateur e
mettili su un palco guidati da un grande coreografo.
Gala di Jérome Bel è
l'elogio della diversità a passi di danza
Il risultato è che vedere ballare Chiara è bello come vedere
Patrizia, che di anni ne ha 70 e improvvisa dei passi ispirati al tai chi, e
come vedere la splendida Ella che con le sue lunghe trecce si muove come
Beyoncé e come Giacomo, che gli altri li guida muovendo la sedia a rotelle. Dà
la stessa emozione. C'è pure un 85enne vestito con tuta rossa e gilet
dorato, con tanto di nipote in platea che a vederlo danzare ride di gioia; ci
sono tre bambini, tra i quali un dinoccolato felice, uno scalmanato e una atletica
con le codine; una ginnasta in body fucsia; due signore sulla cinquantina e
forse anche più; c'è pure Sonia, la cinese più famosa di Roma proprietaria di
un noto ristorante capitolino. E sono solo alcuni dei protagonisti della
seconda, e ultima, replica di "Gala" andata in scena il 10 settembre
nell'ambito del festival Short Theatre.
"Gala" di
Jérôme Bel: venti ballerini per caso e lo splendore della diversità
Lo spettacolo ha debuttato nel 2015 al Brussels
KunstenFestivaldesArts e da allora si porta dietro tre anni di successi, ovvero
167 repliche in 71 città diverse. Al punto che nei primi minuti vengono
proiettate le fotografie dei teatri - senza pubblico - che lo hanno accolto.
Tanti, tutti diversi: si va dal parco con le sedie in plastica alla sala
ottocentesca, dal palco improvvisato nel centro commerciale a quello di design
nordeuropeo. "Gala" è diventato quasi un format che si ripete in giro
per il mondo, a Roma i venti sono stati
selezionati in collaborazione con Jérôme Bel e Chiara Gallerani.
Bel non è nuovo alle sperimentazioni che includono gli
esclusi, era successo già con i disabili protagonisti di "Disabled
Theater" e con gli spettatori "attori" di "Cour
d'honneur". Stavolta gli esclusi siamo noi, dilettanti alla prova del
palco per dimostrare che lo spettacolo funziona se c'è piacere di esibirsi. Ma
non solo. Questi corpi, così precisi nell'esecuzione delle loro improvvisate
coreografie, insegnano che l'imperfezione è più affascinante del canone; la
goffaggine più libera delle risate di chi la giudica e la diversità più normale
di quello che crediamo.
"Questo è un lavoro più sul pubblico che sugli
interpreti - spiega Riccardo Festa, attore professionista tra i venti della
versione romana di "Gala" - noi eseguiamo gesti semplici. Al netto
delle scelte di drammaturgia quello che ci viene richiesto è essere molto
rigorosi: ovvero balla il valzer così come pensi che per te si balli il
valzer". Poi aggiunge: "Quello che emerge però non è una democrazia.
Tutti siamo diversi, ognuno con la sua capacità, c'è chi balla meglio e chi
meno. Il risultato? La bellezza non è nel gesto ma nell'impegno, nell'intensità
di partecipare a una esposizione di sé che è molto coraggiosa. C'è un grande
lavoro di decostruzione dell'ego, di imitazione dell'altro. Il pubblico ti
guarda con occhio pulito perché non c'è errore se non c'è un riferimento e
allora io e il ragazzo sulla sedia a rotelle diventiamo la stessa
cosa".
("Gala" a Short Theatre è in collaborazione con la
Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia / Ambasciata
di Francia in Italia e in
corealizzazione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale, nell’ambito di Grandi
Pianure – Gli spazi sconfinati della danza contemporanea)
jeudi 16 août 2018
Le président et 65.000 Indonésiens participent à une "danse poco-poco de masse"
L'objectif était de promouvoir les Jeux asiatiques qui se
dérouleront à Jakarta et Palembang.
Par Myriam Roche
INDONÉSIE - Au moins 65.000 personnes incluant le président
indonésien ont participé à une même danse folklorique dimanche 5 août à
Jakarta, afin de promouvoir les Jeux asiatiques dans deux semaines en
Indonésie. Selon les autorités locales, l'événement a battu un record du monde
en nombre de figurants.
Rangés en ligne et en colonnes, des hommes et des femmes
tous habillés en blanc et rouge se sont balancés et déhanchés dans le centre de
la capitale, lors de cette séance de "poco poco", comme vous pouvez le
voir dans la vidéo ci-dessus. Cette danse est originaire de la région de
Manado, dans le nord de l'île des Célèbes.
Le président indonésien, Joko Widodo, son épouse Iriana et
des membres du gouvernement ont participé à l'événement qui s'est déroulé dans
le parc du monument national et des avenues de la ville, vers 6h du matin, afin
d'éviter la chaleur tropicale de la journée.
"Nous effectuons une danse poco-poco de masse avec la
participation de 65.000 personnes, établissant un record du monde et montrant
que le poco-poco vient bien d'Indonésie", a déclaré le chef de la police
nationale, Tito Karnavian, qui a lui aussi participé à ce rassemblement, ainsi
que d'autres policiers, des militaires, des députés ou encore des étudiants.
Aucune information n'a été donnée sur un éventuel précédent
record. "Il s'agit d'une très bonne opportunité pour montrer que
l'Indonésie conserve ses traditions", a expliqué un étudiant, Raja Farid
Akbar, parmi les danseurs à Jakarta.
Les Jeux asiatiques, auxquels sont attendus environ 11.000
athlètes pour une quarantaine de disciplines sportives, se dérouleront du 18
août au 2 septembre à Jakarta et Palembang, ville dans le sud de l'île de
Sumatra. Il s'agit du plus grand événement omnisports au monde après les Jeux
olympiques.
lire l'article sur le Huffingtonpost
dimanche 5 août 2018
Michael Clark, il genio ribelle della danza britannica
di ANNA BANDETTINI
Tra tossicodipendenza, cadute e riprese, l'irriverente
coreografo scozzese è considerato un maestro e un innovatore. Dopo la prima
italiana a Bolzano, in scena a Firenze 'to a simple, rock'n' roll . . . song.',
trittico dedicato a Satie, Patti Smith e Bowie
Negli anni Ottanta è stato una
travolgente eccezione nella danza britannica. Un genio, un talento, ma anche un
ribelle, un irriverente, uno che da ragazzo era una delle migliori promesse
della Royal Ballet School ma di nascosto sniffava colla. Giovanissimo ha
fondato una sua compagnia, è diventato una star dell'underground londinese, ma
anche tossicodipendente e depresso. Caduto e rinato decine di volte, il
coreografo scozzese Michael Clark ha attraversato l'ultimo trentennio della
danza da protagonista eccentrico, ma pur sempre da protagonista.
Oggi che ha 56 anni, la testa
calva, gli occhiali, innata eleganza, un gusto iconoclasta non solo nella
danza, ha sempre l'aria da bad boy ma è considerato un "maestro"
della danza contemporanea, un innovatore per come ha saldato il rigore tecnico
del classico con l'irrequietezza del punk-rock in cui si è mosso fin da giovane
negli anni della ribellione antiThatcher.
Chiaro che vederlo all'opera,
assistere a una delle sue creazioni è sempre un evento, specie in Italia dove
un balletto di Michael Clark non si vede da molto tempo. Un plauso, dunque, a
Bolzano Danza, il festival diretto da Emanuele Masi, che di anno in anno sta
diventando sempre più ricco e interessante e che si è aggiudicato la prima
italiana di to a simple, rock'n' roll . . . song., ultima coreografia di Clark,
molto applaudita dalla stampa inglese, attesa stasera al Florence Dance
Festival, dove andrà in scena nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella.
Creato nel 2016 al Barbican di
Londra, to a simple, rock'n' roll . . . song. intreccia precisione tecnica e
fantasia visiva e di movimento, in un trittico dedicato a tre grandi della
musica del Novecento: Erik Satie per il 150esimo della nascita, Patti Smith da
cui arriva anche il titolo dello spettacolo e David Bowie, un autentico cult
per Michael Clark.
Se il brevissimo (dieci minuti),
elegante omaggio a Satie è tutto nel solco della modern dance
"rinnovata" e porta nella memoria il lavoro di altri maestri della
danza e della musica che si sono ispirati al compositore francese (citazioni
volute da Frederick Ashton, Merce Cunningham, John Cage, Yvonne Rainer) è negli
altri due pezzi (ciascuno di venti minuti), anche grazie alla collaborazione
del videoartista Charles Atlas, ai costumi pop e alieni di Stevie Stewart, che
Clark si cala nel clima rock, nelle atmosfere più travolgenti, dissacratorie
dove le modalità del balletto classico vengono "decostruite" in
una vitalità gestuale psichedelica.
A partire dalla coreografia
ispirata da Land: Horses/Land of a Thousand Dances/La Mer (De), dall'album di
debutto Horses che rivelò Patti Smith come una delle star del punk rock
newyorchese: sullo sfondo di immagini astratte in movimento, gli otto
eccellenti ballerini in tute bianche e nere o con pantaloni a zampa in pelle
trasformano la gestualità, la geometria, la simmetria del classico in qualcosa
di travolgente. "Mi ci sono voluti anni per intrecciare il balletto
classico con il rock. Il rock ha avuto su di me una enorme influenza - aveva
dichiarato Clark in una intervista a Repubblica di qualche anno fa - Quando studiavo al Royal Ballet mi
sottoponevo alla dura disciplina della scuola, ma la sera fuggivo a Londra a
vedere i concerti punk, atterrito che mi scoprissero".
Proprio in quelle nottate il
coreografo ha conosciuto (ma mai personalmente, ed è un suo cruccio) David
Bowie, che ha ispirato la terza, finale e più suggestiva parte di questo
spettacolo di grande impatto: intitolato my mother, my dog and clowns dal brano
Life on Mars dell'album omonimo di Bowie, è un pezzo di grande emozione, non la
compilazione di un ricordo della star ma una sequenza di immagini non
narrativa, che non si riduce a una formula standard ed esalta semmai il potere
trasfigurante della danza.
Gli otto danzatori sono figure
androgine nelle loro tutine argentate, omaggio al gusto "alieno" alla
maniera di Ziggy Stardust, o arancioni come certe "mise" del Bowie
anni Ottanta. Si muovono con controllo nei ritmi rock, attraversando momenti di
vitalità irrequieta sulle tracce di Future Legend, Cracked actor dall'album
Aladdin Sane, ma anche di oscura bellezza col jazz rock di Blackstar, l'ultimo
album di Bowie quando l'atmosfera si fa più ambigua e drammatica e compare una
figura di donna vestita di nero e con gli occhi bendati, forse ricordando la
rockstar nell'ultimo video, segno della fine imminente per un uomo che
nell'ambivalenza del proprio sguardo aveva costruito il proprio segreto.
lundi 14 mai 2018
Construire la «mémoire manquante » de la Shoah
Construire la « mémoire manquante » de la Shoah avec une classe de
première bilingue
par Ludmila Acone
Une scène dépouillée, des lycéens sont à la cantine. Une élève se plaint, elle prétend vouloir récupérer ses affaires au grenier de l’établissement. On lui en dénie l’accès, elle proteste mais rien n’y fait. C’est qu’elle est curieuse, c’est que le grenier on n’a pas le droit d’y accéder. Pourquoi ? Que se cache-t-il là-dedans ? Des secrets ? Un cadavre ? Les élèves arrivent à voler la clé dans le bureau du Proviseur et à entrer dans le grenier.
Une scène dépouillée, des lycéens sont à la cantine. Une élève se plaint, elle prétend vouloir récupérer ses affaires au grenier de l’établissement. On lui en dénie l’accès, elle proteste mais rien n’y fait. C’est qu’elle est curieuse, c’est que le grenier on n’a pas le droit d’y accéder. Pourquoi ? Que se cache-t-il là-dedans ? Des secrets ? Un cadavre ? Les élèves arrivent à voler la clé dans le bureau du Proviseur et à entrer dans le grenier.
C’est le début d’une composition
théâtrale conçue et écrite par des élèves de la section EsaBac (section
bilingue franco-italienne) du Lycée Victor Louis de Talence avec leur
enseignante en histoire et géographie.
Questions de mémoire…
J’ai conçu ce projet dans le
cadre du concours Ton regard sur la Shoah, prix Elisabeth Sentuc-Brody, proposé
pour la troisième année par Le Centre culturel Yavné de Bordeaux aux élèves de
troisième et aux lycéens de l’agglomération bordelaise. Cette année il était
proposé de réaliser une courte pièce de théâtre qui devait s’intituler «
Mémoire manquante » avec le contexte fictif suivant : « Nous sommes en 2055.
Plus personne ne parle de la Shoah, tous les survivants et les justes ont
disparus depuis bientôt trente ans. Des théories révisionnistes se sont
répandues, la mémoire de la Shoah a disparu. Mais un jour, des jeunes trouvent
par hasard une mallette contenant des livres sur la Shoah et des témoignages de
survivants ».
Le défi à relever était complexe.
Comment répondre à cet appel ? Pouvait-on y répondre avec une classe bilingue ?
Quelle langue utiliser ? Fallait-il traduire, mais que traduire ? Et plus
généralement comment parler, comment « dire » et comment « jouer » la Shoah ?
Questions de langue…
D’emblée j’ai proposé une piste à
partir des travaux de Janine Altounian, petite fille de rescapé du génocide
arménien. Traductrice de Freud et psychanalyste, elle a décidé de traduire les
mémoires de son grand père sur le génocide ; elle a été immédiatement
confrontée précisément à ces questions : peut-on traduire ? Comment traduire ?
Quelle langue utiliser ? Selon Janine Altounian, transmettre l’expérience du
génocide et de la déportation pour les enfants des rescapés passe par
l’appropriation de la culture et de la langue du pays d’accueil, seul moyen
pour elle d’inscrire l’indicible dans un espace autre ; « il faut passer par la
culture de l’autre pour pouvoir exprimer sa propre culture engloutie et
exterminée, de façon à la traduire dans la culture de l’autre et l’exprimer sur
un plan universel ».
Tout traducteur sait qu’on on ne
traduit jamais uniquement d’une langue à l’autre mais que l’on crée
inévitablement une troisième langue. Reste un défi de taille : traduire et dire
l’horreur, dans quelle langue ? Existe-t-il une langue pour dire l’horreur,
s’agit-il une troisième ou d’une quatrième langue ? Est-elle uniquement verbale
?
Ayant présenté aux élèves
l’ouvrage L’intraduisible , portant sur le génocide arménien, et en le
comparant avec la destruction des juifs d’Europe durant la seconde guerre
mondiale, nous avons travaillé en classe à partir de l’impossibilité de
traduire l’absence.
Le caractère « intraduisible » de
l’horreur de la Shoah et la nécessité de rendre visible cette mémoire
manquante, nous a conduit à explorer la possibilité de dire ce qui ne peut
l’être grâce à un travail mêlant les deux langues dans laquelle les élèves
étudient, le français et l’italien, et de les relier au geste. Ces trois
langues de notre expérimentation : le français, l’Italien et le geste,
constituent une base permettant de créer un autre objet, cet « intraduisible »
à travers lequel nous voulions rendre la mémoire vivante.
Ainsi, les élèves ont expérimenté
comment le travail à partir des deux langues permet de créer une « troisième
langue », et comment le geste permet de traduire l’émotion, même celle liée à
l’absence. Il s’agit donc de rendre visible cette mémoire manquante, par-delà
l’absence et de construire un plaidoyer pour le dialogue, l’échange et le vivre
ensemble (...)
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