di ANNA BANDETTINI
La Repubblica Pubblicato il 31 marzo 2017
Svedese, orgogliso freelance, è richiesto in tutto il
mondo, dalla Germania alla Nuova Zelanda finoa
Parigi. Con il suo 'Cacti' sarà in Italia, all'Opera di Roma, dal 31 marzo.
È la dimostrazione che nel mondo della danza moderna c'è ancora voglia di confrontarsi, di ribellarsi, di fare ricerca per
necessità. Si
chiama Aleksander Ekman, 33 anni, ed è il nuovo
astro della coreografia contemporanea, per l'esattezza quasi matematica delle
sue danze e insieme l'intrusione di oggetti e immagini del nostro presente: nel
suo Sogno di una notte d'estate il balletto di Dresda danzava tra pile di fieno
che venivano gioiosamente lanciate per aria, ha inserito una coppia gay tra i personaggi
del classico Swan Lake per cui ha riempito di acqua il palcoscenico del Teatro
Reale di Oslo e i ballerini muovendosi schizzavano l'acqua come in una maestosa
piscina. Svedese, orgoglioso freelance, Ekman è richiesto dovunque, dalla Germania alla Nuova Zelanda: a dicembre è attesissimo il suo debutto all'Opera di Parigi dove sta allestendo Play
dedicato al gioco, prima firmerà a
Chicago una novità con il
Joffrey Ballet, progetta una installazione con i ballerini del teatro reale
norvegese per giugno. In Italia si vedrà nella
capitale dal 31 marzo il suo Cacti successo mondiale del 2010 presentato dal
Corpo di ballo dell'Opera di Roma in un interessante Trittico di modern dance
che comprende anche The Concert di Jerome Robbins e Annonciation il cult di
Angelin Preljocaj.
Cacti è un pezzo divertente, energetico, comunicativo, “una parodia dei cliché della danza moderna e dello sguardo dei critici sulla danza stessa, su cosa secondo loro gli spettatori devono vedere o no”, dice Ekman che ha messo 16 ballerini su altrettante pedane bianche (col Corpo di Ballo di Roma, il primo ballerino Claudio Cocino e Annalisa Cianci e tra loro in scena il Quartetto Sincronie) a creare quadri e variazioni, a giocare con il corpo tra cadute, scontri, fughe, a un certo punto tenendo pure tra le mani anche un cactus, appunto. Il tutto su una struttura coreografica molto rigida e definita.
“Quando lo creai, sette anni fa, cominciavo ad avere recensioni pubbliche dei miei lavori, a leggere tutta questa gente che dava opinioni sul mio lavoro, cose di cui essere orgoglioso, certo. Ma una certa altezzosità intellettuale qui viene giocata nella forma di in un divertimento popolare”, spiega il coreografo. “E poi il cactus è un oggetto che può essere interpretato in modo molti diversi. Mi piace, perché richiede di stare molto attenti”. Della sua leggenda di innovatore Ekman dice: “Kylián, Mats Ek mi hanno sicuramente influenzato con le loro creazioni. Mi piace catturare l'attenzione del pubblico, far dimenticare allo spettatore la vita reale, fargli vedere quello che vorrei vedere io. Da ragazzo ho visto molte cose e molte davvero noiose. Ecco io vorrei far vedere ciò che non si è mai visto prima.Non quello che è corretto ma ciò che sorprende lo spettatore. Almeno per me è così : quando vado a teatro voglio essere svegliato”.
http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2017/03/31/news/aleksander_ekman-161879686/
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