di ANNA BANDETTINI
Tra tossicodipendenza, cadute e riprese, l'irriverente
coreografo scozzese è considerato un maestro e un innovatore. Dopo la prima
italiana a Bolzano, in scena a Firenze 'to a simple, rock'n' roll . . . song.',
trittico dedicato a Satie, Patti Smith e Bowie
Negli anni Ottanta è stato una
travolgente eccezione nella danza britannica. Un genio, un talento, ma anche un
ribelle, un irriverente, uno che da ragazzo era una delle migliori promesse
della Royal Ballet School ma di nascosto sniffava colla. Giovanissimo ha
fondato una sua compagnia, è diventato una star dell'underground londinese, ma
anche tossicodipendente e depresso. Caduto e rinato decine di volte, il
coreografo scozzese Michael Clark ha attraversato l'ultimo trentennio della
danza da protagonista eccentrico, ma pur sempre da protagonista.
Oggi che ha 56 anni, la testa
calva, gli occhiali, innata eleganza, un gusto iconoclasta non solo nella
danza, ha sempre l'aria da bad boy ma è considerato un "maestro"
della danza contemporanea, un innovatore per come ha saldato il rigore tecnico
del classico con l'irrequietezza del punk-rock in cui si è mosso fin da giovane
negli anni della ribellione antiThatcher.
Chiaro che vederlo all'opera,
assistere a una delle sue creazioni è sempre un evento, specie in Italia dove
un balletto di Michael Clark non si vede da molto tempo. Un plauso, dunque, a
Bolzano Danza, il festival diretto da Emanuele Masi, che di anno in anno sta
diventando sempre più ricco e interessante e che si è aggiudicato la prima
italiana di to a simple, rock'n' roll . . . song., ultima coreografia di Clark,
molto applaudita dalla stampa inglese, attesa stasera al Florence Dance
Festival, dove andrà in scena nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella.
Creato nel 2016 al Barbican di
Londra, to a simple, rock'n' roll . . . song. intreccia precisione tecnica e
fantasia visiva e di movimento, in un trittico dedicato a tre grandi della
musica del Novecento: Erik Satie per il 150esimo della nascita, Patti Smith da
cui arriva anche il titolo dello spettacolo e David Bowie, un autentico cult
per Michael Clark.
Se il brevissimo (dieci minuti),
elegante omaggio a Satie è tutto nel solco della modern dance
"rinnovata" e porta nella memoria il lavoro di altri maestri della
danza e della musica che si sono ispirati al compositore francese (citazioni
volute da Frederick Ashton, Merce Cunningham, John Cage, Yvonne Rainer) è negli
altri due pezzi (ciascuno di venti minuti), anche grazie alla collaborazione
del videoartista Charles Atlas, ai costumi pop e alieni di Stevie Stewart, che
Clark si cala nel clima rock, nelle atmosfere più travolgenti, dissacratorie
dove le modalità del balletto classico vengono "decostruite" in
una vitalità gestuale psichedelica.
A partire dalla coreografia
ispirata da Land: Horses/Land of a Thousand Dances/La Mer (De), dall'album di
debutto Horses che rivelò Patti Smith come una delle star del punk rock
newyorchese: sullo sfondo di immagini astratte in movimento, gli otto
eccellenti ballerini in tute bianche e nere o con pantaloni a zampa in pelle
trasformano la gestualità, la geometria, la simmetria del classico in qualcosa
di travolgente. "Mi ci sono voluti anni per intrecciare il balletto
classico con il rock. Il rock ha avuto su di me una enorme influenza - aveva
dichiarato Clark in una intervista a Repubblica di qualche anno fa - Quando studiavo al Royal Ballet mi
sottoponevo alla dura disciplina della scuola, ma la sera fuggivo a Londra a
vedere i concerti punk, atterrito che mi scoprissero".
Proprio in quelle nottate il
coreografo ha conosciuto (ma mai personalmente, ed è un suo cruccio) David
Bowie, che ha ispirato la terza, finale e più suggestiva parte di questo
spettacolo di grande impatto: intitolato my mother, my dog and clowns dal brano
Life on Mars dell'album omonimo di Bowie, è un pezzo di grande emozione, non la
compilazione di un ricordo della star ma una sequenza di immagini non
narrativa, che non si riduce a una formula standard ed esalta semmai il potere
trasfigurante della danza.
Gli otto danzatori sono figure
androgine nelle loro tutine argentate, omaggio al gusto "alieno" alla
maniera di Ziggy Stardust, o arancioni come certe "mise" del Bowie
anni Ottanta. Si muovono con controllo nei ritmi rock, attraversando momenti di
vitalità irrequieta sulle tracce di Future Legend, Cracked actor dall'album
Aladdin Sane, ma anche di oscura bellezza col jazz rock di Blackstar, l'ultimo
album di Bowie quando l'atmosfera si fa più ambigua e drammatica e compare una
figura di donna vestita di nero e con gli occhi bendati, forse ricordando la
rockstar nell'ultimo video, segno della fine imminente per un uomo che
nell'ambivalenza del proprio sguardo aveva costruito il proprio segreto.
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